Dal Brasile a Sacrofano: Garrincha e quella finta che "spostava il campo"
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Garrincha con alcuni giocatori del Sacrofano |
Quanto tempo è passato dall’ultima volta
che abbiamo visto una partita da bordo campo? Da anni il calcio è fatto
soprattutto di immagini. Inquadrature perfette, da ogni angolazione. Moviole
raffinatissime, fotogrammi zoomati e trasformati in quadretti di computer
grafica per cogliere quel centimetro di scarpino oltre la linea del fuorigioco,
valutare la torsione della gamba dell’attaccante per capire, finalmente: era
fallo o no? Eccoci di nuovo a un metro dal campo, immersi nei colori e nei
suoni: il rumore del pallone calciato, le grida dell’allenatore, le
imprecazioni dei tifosi e quelle dei difensori.
Il calcio più vero è qui, dove si gioca
ancora per amore, e i protagonisti sono ventidue calciatori, non attori
lucidati e pettinati, scrutati dall’occhio della telecamera anche negli
spogliatoi. Seconda categoria, lo Sporting Sacrofano incontra in casa lo Stimigliano.
Il presidente Valentini racconta quanto sia difficile gestire una piccola
società come questa, che certo non ha i numeri della serie A. Accanto a lui,
Stefano Terradura, storico tifoso e sostenitore, ricorda con orgoglio i trofei
regionali vinti negli ultimi anni. Ma ultimamente si parla molto di questa
squadra perché si dice che il calciatore più forte che abbia mai giocato in
questa regione non militava nella Roma e neanche nella Lazio, ma proprio nel
Sacrofano. Perchè su questo campo ha giocato “Mané” Manoel Francisco Dos
Santos, detto Garrincha, campione del mondo col Brasile nel 1958 e nel 1962.
E pensare che aveva una gamba di ben sei
centimetri più corta dell’altra Garrincha: quand’era piccolo e si pensava che
avrebbe avuto difficoltà a camminare, nessuno avrebbe potuto immaginare i suoi
trionfi.
I ragazzi del Sacrofano giocano per
passione: molti sono studenti, uno ha una pizzeria, un altro lavora allo
stabilimento che imbottiglia l’acqua di Nepi. La maglia più ambita in attacco è
quella di Mané, la numero 7, da qualche tempo indossata da Francesco “Chicco”
Serata, promettente esterno d’attacco, tutto guizzi e dribbling. Il capitano
Sassi è figlio di Carlo, che ricopriva il ruolo ai tempi di Garrincha.
Qui il 2 maggio inizierà il torneo “Mané
Garrincha” per rendere omaggio alla più grande ala destra di tutti i tempi,
arrivata nel Sacrofano nel 1971. Gli anni dei trionfi sono lontani e il
campione è reduce da un dramma. Nel 1969 era alla guida della sua auto con a
bordo una figlia adottiva e sua suocera, la madre di Elza Soares, splendida
cantante di cui si era follemente innamorato e per cui aveva lasciato moglie i
suoi dieci figli.
Garrincha si scontra con un camion e in
seguito all’urto la suocera muore: accusato di guida in stato di ebbrezza viene
condannato a due anni di carcere e si salva solo grazie alla libertà
condizionale. L’episodio aggrava la situazione già precaria di un campione
giunto a fine carriera, afflitto da diversi malanni fisici e schiavo
dell’alcolismo. Una volta arriva a tentare il suicidio col gas e lo salvano per
miracolo. Eppure aveva promesso mille volte ad Elza di smettere con l’alcol e
lei aveva giurato che se ci fosse riuscito si sarebbe tagliata i capelli a
zero. Quando un giorno lei si presenta ad un’esibizione con la testa rasata,
tutti sperano nel miracolo, ma è solo un’illusione: Garrincha riprende a bere
come e più di prima. La Soares, che ha un ingaggio al Teatro Sistina di Roma,
lo porta con sé nella speranza di sottrarlo al suo destino.
Alla guida del Sacrofano allora c’era
Michele Di Piero, il più grande presidente della sua storia, oggi il campo è
intitolato a lui. Ce lo ricorda la figlia Annarita che commossa ci parla dei
suoi ricordi, l’amicizia con Dino Da Costa che era diventato “uno di famiglia”,
l’amore per il calcio, le domeniche in cui il padre la portava allo stadio a
vedere la Roma, sua passione sfrenata. Di Piero rileva il Sacrofano con
l’intenzione di plasmare la squadra secondo i suoi desideri. Per questo porta
in squadra il grande attaccante brasiliano Dino Da Costa, goleador che aveva
raggiunto i suoi più grandi traguardi prima in patria col Botafogo, poi con la
Roma, laureandosi capocannoniere dei due campionati con 24 e 22 gol. Da Costa,
che ha chiuso da poco la sua carriera in serie A, aveva militato anche in altre
squadre italiane e vinto tre volte la Coppa Italia (con Fiorentina, Atalanta e
Juve), una Coppa delle fiere con la Roma e una Coppa delle Coppe con la
Fiorentina. Con i giallorossi ha centrato un record che lo ha fatto entrare per
sempre nel cuore dei tifosi, quello delle reti segnate alla Lazio nel derby, in
tutto ben 13. Un primato che sarà eguagliato (o solo avvicinato a seconda dei
conteggi) molti anni dopo solo da Francesco Totti. Garrincha arriva a Roma con
uno stipendio di mille dollari al mese, compenso per il ruolo di “ambasciatore
del caffè brasiliano”: più che un incarico vero, un pretesto che il governo del
suo paese ha trovato per dargli un sussidio che lo sollevi dalla povertà. Il
Sacrofano, grazie alla passione e all’impegno del presidente Di Piero, ha un
organico superiore alla categoria in cui milita, promozione e prima categoria,
ed è proprio Da Costa a coinvolgere Garrincha. Ci siamo messi sulle sue tracce
e abbiamo incontrato i compagni dell’asso brasiliano durante il suo soggiorno a
Roma. I giocatori Massimo Cherri, Corrado Corradini e l’allenatore Primo
Giorgi. Cherri e Corradini, approdati al Sacrofano dopo una lunga militanza in
diverse squadre minori del Lazio, ricordano quei giorni quasi con nostalgia.
Già la presenza di Da Costa rendeva la
squadra nettamente superiore a tutte le avversarie: il brasiliano in gran
forma, segnava a ripetizione con quei tiri potenti che l’avevano reso famoso.
L’arrivo di Garrincha viene vissuto da tutti con trepidazione, è ancora fresco
il ricordo dei due mondiali vinti, uno da capocannoniere. Avere in squadra
“l’angelo dalle gambe storte” sembra un miracolo. Corradini, poi divenuto
secondo di Dino Zoff e miglior allenatore italiano di calcio femminile, ricorda
con affetto quei giorni al Sacrofano. “Il presidente Di Piero era una persona
squisita, innamorato del calcio”. Lo conferma anche Massimo Cherri: “viveva in
simbiosi con la squadra e una volta ci ospitò tutti nella sua villa di
Sarteano”. “Ero io – riprende Corradini – incaricato di andare a prendere
Garrincha per portarlo al campo, abitava in un residence con Elza, una donna
incantevole, forse la più bella che abbia mai conosciuto. Mané per lei aveva
perso completamente la testa, era gelosissimo. Tra i due il più volubile, il più
fragile era sicuramente lui”. Dalle notti brave nei locali di Roma
all’allenamento in collina. Di Mané si racconta che quando non era sul campo,
mentre la Soares portava avanti i suoi impegni canori, tra teatro e tv, vagasse
da un bar all’altro e, dato che la sua immagine, nonostante i meriti almeno
analoghi, era meno famosa di quella di Pelé, non sempre veniva riconosciuto.
Quel periodo non era certo privo di
amarezze per Garrincha: i problemi lasciati in Brasile e quello della bottiglia
che lo seguiva sempre, la tormentata storia d’amore con Elza, ma quando usciva
fuori un pallone sulle sue labbra tornava sempre il sorriso. Così si racconta
che più di una volta si unì ad alcuni ragazzi che improvvisavano partitelle a
Campo de’ Fiori. Palleggi mirabolanti, dribbling stordenti disegnati sui
sampietrini davanti agli occhi stupiti dei compagni di gioco che si chiedevano
chi fosse quel brasiliano, un viaggiatore, un vagabondo, chissà? La sua finta
che lo rendeva imprendibile, ricorda Cherri, “era sempre la stessa eppure non
c’era niente da fare: ti fregava ogni volta perché quando la faceva sembrava
che spostasse il campo”.
“All’inizio era difficile dialogare perché
noi parlavamo solo italiano e lui brasiliano, ma piano piano riuscimmo a
capirci”, continua Cherri. “Dal suo contegno nessuno avrebbe immaginato di aver
di fronte uno dei più grandi di tutti i tempi. Nonostante le coppe del mondo e
il fatto che nel suo paese era un mito, si comportava con grande naturalezza.
Era uno di noi.” “Già Da Costa era di una simpatia irresistibile – sottolinea
Corradini – e Garrincha, da brasiliano, condivideva con lui la stessa allegria
e leggerezza, il piacere di giocare per il gusto di farlo”.
Forse aggiunge Cherri “la sua timidezza,
oltre a un fatto caratteriale, era legata alla sensazione spiazzante di
trovarsi a giocare in una squadra molto più piccola di quelle alle quali era
abituato in Brasile. Ma passò presto grazie a Da Costa che lo seppe introdurre
e alla sua semplicità: mai superbo, mai una frase fuori posto”. I ricordi più
belli sono legati ad alcune amichevoli e tornei che il Sacrofano disputò a
Mignano Monte Lungo, Chianciano e Sarteano.
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Federico Gallo a colloquio con Primo Giorgi |
Primo Giorgi è l’allenatore che era in
panchina quando arrivò Garrincha. Un uomo tutto d’un pezzo, un tecnico che ha
sempre detto “qui comando io”. Sia ai giocatori che ai presidenti. Se i primi
non lo seguivano dovevano trovarsi un’altra squadra. Se i secondi si
intromettevano era lui ad andarsene un minuto dopo. A Giorgi, ottantasei anni,
lucidissimo, quando parla di Garrincha, brillano gli occhi. “Era incredibile e
con me si è sempre comportato da professionista”. Muove il corpo per ricordare
la sua finta che lasciava tutti gli avversari sul posto, “poi partiva e,
velocissimo, se ne andava in porta”. L’allenatore ricorda le amichevoli in
Toscana: quando i manifesti annunciavano l’arrivo del Sacrofano e di Mané, gli
appassionati accorrevano in migliaia per ammirarlo e lui non li deludeva mai.
“All’inizio di una partita – ricorda Giorgi – Garrincha riceve a centrocampo,
se l’aggiusta sul destro e lascia partire una fucilata impressionante: la palla
si infila in rete lasciando in silenzio compagni, avversari e tifosi. Tutti a
bocca aperta”.
Un’altra perla la ricorda Corradini:
“Calcio d’angolo, Garrincha va sulla lunetta per battere e io continuo a
guardarlo per fargli segno di metterla sulla testa di Primo Liguori, il nostro
attaccante, uno fortissimo che nell’area piccola non perdonava. Garrincha fa sì
con la testa per rassicurarmi, prende la rincorsa e calcia d’esterno destro. La
palla disegna una traiettoria pazzesca, una cosa mai vista, e si insacca sul
secondo palo”. Il gol da calcio d’angolo è una prodezza riuscita raramente solo
a pochi grandi, ne vengono in mente alcuni segnati da Maradona. “Ma erano
sempre palle tirate con l’interno. Mai con un esterno a rientrare”. Giorgi
segue sempre il calcio, tuttora non si perde una partita. Apprezza campioni
come Messi e Cristiano Ronaldo, ma quando gli nominiamo Garrincha ripete
sempre: “Lui era un’altra cosa, giocatori così non ce ne sono più”. (Gianni Tarquini & Federico Gallo)
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