Dio esiste
4 gennaio
2000. Punta del Este, Uruguay. Diego Armando Maradona viene
ricoverato d'urgenza. È in stato confusionale, forte crisi
ipertensiva complicata da aritmie ventricolari. Il suo cuore rischia
di fermarsi. Era un po' che non sentivo parlare di lui e ogni tanto
ci pensavo, ma che fine ha fatto? L'ultima immagine che avevo negli
occhi era quell'urlo diabolico ai mondiali del 1994, subito dopo aver
segnato alla Grecia. Ma la verità è che non mi aveva mai convinto,
non mi aveva mai appassionato, nemmeno ai tempi d'oro. Non so perché
inizio a leggere un articolo dopo l'altro. Il ricovero appena
avvenuto per un'overdose di cocaina, il mondo col fiato sospeso e
tanti video di quando giocava. Non solo col Napoli, anche gli inizi
in Argentina, quando giovanissimo incantava i tifosi dell'Argentinos
Juniors e del Boca. Era stellare. Secco, velocissimo, un dribblatore
folle capace di uscire da qualsiasi gabbia di difensori. Segnava da
ogni posizione, stendeva i suoi marcatori con una finta. Elegante ma
impudente, selvaggio nel mostrare il suo talento infinito. Sembrava
un cartone animato con quei capelli ricci gonfi che seguivi mentre si
infilava nel cuore dell'area avversaria. Passano le ore e non mi
stacco dal computer. I siti con l'ultimora: “ricoverato appena in
tempo”, “la funzionalità del cuore è ridotta al 38%”. Poi i
suoi gol, le magie, le crisi e i ritorni. Inizio a temere per la sua
vita. All'improvviso. Non mi capisco. Perché mi sto preoccupando per
un campione che non ho mai amato? Mi sorprende un ricordo. 22 giugno
1986. Sto assistendo distrattamente ad Argentina-Inghilterra. È un
mondiale che non mi entusiasma molto. Ho tredici anni e sono tornato
da poco da una partitella al parco. Accendo la tv in salotto e vado
in cucina a prendere un bicchiere di tè freddo. Quando torno sento
la voce del telecronista che, dal Messico, gracchia lontana e un po'
disturbata. Un nanerottolo parte da centrocampo e corre, corre
attraverso i fili d'erba e gli avversari. Non lo ferma nessuno,
scarta pure il portiere e segna. L'azione è stata così veloce che
non saprei descriverla. Resto come uno scemo col bicchiere in mano,
gli occhi fissi sullo schermo e penso “ma che ha fatto?” Mi
invade un senso di stupore e di impotenza e mi dico che un gol così
io non lo segno nemmeno qui sotto casa. Oggi so che lì sarebbe
potuta nascere la mia passione e invece è morta appena nata. Non
potevo accettare una cosa del genere. Dopo quel momento Maradona
tornò ad essere per me quello che era sempre stato. Un campione
lontano. Di cui sicuramente avrei sentito ancora parlare, ma che non
mi avrebbe mai coinvolto emotivamente. Quel “mai” invece è morto
stamattina, proprio mentre è Maradona a rischiare di andarsene.
Fatico a staccarmi dalle immagini fino all'ora del telegiornale:
quell'uomo ricoverato in ospedale mezzo morto si è svegliato e ha
chiesto un pallone. Mi viene da sorridere e anche un po' da piangere.
Forse è stato in quel momento che ho capito veramente chi fosse
Maradona. Da quel giorno ho comprato tutti i suoi video in commercio,
i libri, la sua autobiografia. Per anni almeno una volta a settimana
se capitavo davanti a un giornalaio chiedevo se per caso avessero una
cassetta, qualcosa su Diego. Ho cercato disperatamente contatti a
Napoli per avere immagini inedite. Di lui al campo di allenamento: si
dice che ogni volta che ci andava era una meraviglia, come quella
volta che per chiamare il massaggiatore lo accarezzò sulla testa con
un pallone calciato, quasi avesse un mirino laser, dalla parte
opposta del campo, o quando si divertiva a colpire volontariamente la
traversa dal limite dell'area. A Napoli ho visto in centro l'edicola
sacra in cui è custodito religiosamente un suo capello e i murales
che lo ritraggono nei vicoli, immenso tra i panni stesi e le voci che
salgono, tra il rumore dei clacson e quello dei motorini. Ho visto
centinaia di interviste, in campo, negli spogliatoi, su un elicottero
mentre, appena arrivato a Napoli, osserva la città dall'alto come
fosse un plastico ai suoi piedi. L'ho immaginato in barca nel golfo e
nell'albergo del lungomare in cui giocava a carte, mentre i
compagni si allenavano. Lui arrivava, non sempre, con calma. Si
metteva a palleggiare e tutti intorno si fermavano a guardarlo. L'ho
visto cantare alla tv argentina. L'ho visto fotografato in ogni
situazione. Atletico. Ubriaco. Perdente. Vincente. “Fatto”, con
gli occhi di fuori. Bambino, con le pantofole ai piedi e la suola
orgogliosamente poggiata su un pallone economico. Secco. Grasso.
Obeso. Poi di nuovo magro. Ebbro e lucido. In forma e da buttare.
L'ho visto in un'intervista mentre ricorda la sua storia e parla di
politica senza peli sulla lingua. Una volta sono riuscito anche a
incontrarlo di persona e mi è sembrato impossibile che fosse così
basso. La statura è l'unico tratto costante, per il resto ogni volta
cambia così tanto che è impossibile descriverlo senza il rischio di
essere smentiti un mese o un anno dopo. Nel 2004 è di nuovo tra la
vita e la morte. A Buenos Aires i suoi tifosi stazionano ore in
attesa di una buona notizia davanti all'ospedale. Uno striscione
recita “non puoi morire perché sei dio”. Un dio terribilmente
umano, sincero e per questo vicino ad ogni amante del calcio, che sia
un bambino o un vecchio, un ex professionista o uno che non ha mai
giocato neanche tra i dilettanti. In un istante, quella mattina, ho
capito quanta superficialità ci fosse nei giudizi dei moralisti a
cui Diego una volta rispose “i bambini degli altri mica devo
educarli io, dovrebbero farlo i loro genitori”. Maradona vive
sempre tutto, fino in fondo. Nel bene e nel male. È stato capace di
sniffare cocaina ma anche di confessare al mondo il dramma della sua
tossicodipendenza e ricorda, ricorda bene, tutto quello che la droga
gli ha rubato. L'ultima volta che stava per restarci riuscì a
sentire la voce di sua figlia che piangendo gli diceva all'orecchio
“papà non morire”. Tre parole che l'hanno convinto a tornare a
vivere. Maradona è infinito. Costringerlo in un foglio di carta?
Praticamente impossibile. Impossibile come marcarlo.
(Federico Gallo)
Commenti
Posta un commento