"Molte storie ignorate" - Intervista a Paolo Sollier - seconda parte
Proseguiamo proponendo la seconda parte dell'intervista a Paolo Sollier, con una serie di domande che ci portano fino alla situazione politica attuale.
Quando
hai cominciato a impegnarti nel sociale e poi durante tutta la tua
carriera di giocatore hai trovato
nel calcio, o nello sport
più in generale, spunti e
personaggi che potevano
rappresentare esempi
positivi per la
costruzione di un mondo
meno ingiusto?
"I
personaggi esemplari c’erano o c’erano stati, solo che non li
conoscevo. Ai tempi, l’unico messaggio che uscì dal mondo dello
sport fu quello dal podio olimpico messicano di Smith e Carlos col
loro pugno chiuso a difesa dei diritti dei neri americani e, più in
generale, per rivendicare una società più giusta e solidale. Dunque
l’impegno politico fu per me staccato dall’ambiente sportivo che,
tra l’altro, specie a sinistra, era considerato una specie di
sistema arretrato, culturalmente primitivo e poco degno di
attenzione. Il mio percorso personale fu invece stimolato alla
ricerca di conoscenza dall’attivismo nel volontariato tra i
cattolici del dissenso: quella fu una vera scuola politica, che ci
spinse a studiare i fenomeni che
attraversavano la società e la natura
profonda delle ingiustizie sociali, portando gran parte del nostro
gruppo a scegliere, in seguito, l’appartenenza alla sinistra più o
meno radicale.
Qualche
anno dopo, progressivamente, sono venuto conoscenza di molte storie
prima ignorate. Quelle di calciatori e allenatori perseguitati da
fascismo e nazismo, oppure di altri fieramente ribelli durante le
dittature sudamericane, e anche di alcuni e alcune che hanno lottato
nella moderna Europa, le cui esperienze sono però quasi silenziate
dall’informazione ufficiale.
Voglio
brevemente ricordarne alcuni, le cui storie andrebbero studiate a
scuola, per capire quanti destini sono stati sacrificati da immondi
regimi e come la libertà sia sempre in pericolo, non appena si
attenuano democrazia e partecipazione
-
Árpád Weisz è conosciuto come uno dei più grandi tecnici della
storia: in Italia vinse tre campionati, uno con l’Inter e due col
Bologna, transitando anche sulle panchine di Alessandria, Bari e
Novara. Dopo la promulgazioni delle leggi razziali, fu costretto a
rifugiarsi in Olanda, dove allenò il Dordrecth. Con l’aggravarsi
della situazione in Europa e l’allargamento del domino tedesco, il
destino di Árpád e della sua famiglia fu segnato e, dopo essere
stati arrestati dalla Gestapo il 2 agosto del 1942, finirono nella
camera a gas di Auschwitz il 7 di ottobre, in quanto ebrei da
eliminare.
-
Matthias Sindelar è stato uno dei più grandi calciatori europei,
forse il migliore della sua epoca, nonostante un fisico impiegatizio
che lo faceva soprannominare “cartavelina”. La sua tecnica era
però impeccabile e fantasiosa, tanto che il suo tocco era definito
qualcosa di musicale. In quel periodo, siamo negli anni trenta,
l’Austria era forse la migliore nazionale in circolazione, alla
pari degli inglesi che però, per la loro supponenza, si rifiutavano
di affrontare le altre squadre europee. E Sindelar era così famoso
che fu tra i primi testimonial pubblicitari. Tra l’altro, pare che
il tiro a giro, di interno collo sull’angolo opposto, fosse stato
proprio inventato da lui. Erano gli anni dell’Anschluss,
l’annessione dell’Austria alla Germania di Hitler, con
conseguente fusione delle due nazionali calcistiche. Per celebrare lo
storico avvenimento, fu organizzata l’ultima sfida tra le due
squadre. Vinse l’Austria, imponendosi all'avversario in modo quasi
sprezzante, e l’unico gol lo segnò naturalmente Sindelar. A fine
partita, gli atleti si schierarono a centrocampo, esibendo il saluto
nazista. Tutti tranne Sindelar e Shasti Sesta. In seguito, Sindelar
rifiutò la convocazione nella nazionale tedesca, non riconoscendosi
in quella scelta. Il 23 gennaio 1939 fu trovato morto nel suo
appartamento insieme alla sua compagna ebrea, Camilla Castagnola, che
gli sopravvisse in ospedale per tre giorni. Non fu mai fatta
l’autopsia e i corpi vennero cremati in fretta e furia, tanto che
il mistero su quanto accaduto dura ancora oggi.
-
Ernest Erbstein ebbe una lunga carriera di allenatore, culminata poi
con i successi del grande Torino. Prima, però, dovette anche lui
attraversare tutte le minacce fascio-naziste. Con l’aiuto della
dirigenza del Torino riuscì a rifugiarsi in Ungheria e poi,
nell’ultimo periodo di guerra, a trovare protezione nell’ambasciata
svedese di Budapest. Alla fine del conflitto, tornò sulla panchina
torinese, contribuendo alla leggenda di una squadra irripetibile.
Purtroppo la sua vita si concluse con la tragedia di Superga, nello
schianto aereo del 4 maggio 1949.
Ci
sono anche altri sportivi a cui le cose sono andate un po’ meglio,
ma fa riflettere che, avvicinandosi ai giorni nostri, l’orrore
delle dittature sembra tenda a rigenerarsi.
-
Rachid Mekhloufi è tuttora vivente, è algerino, e oggi può
esserlo. Alla fine degli anni cinquanta, il suo paese era però
ancora una colonia della Francia, tanto che lui era nel giro della
nazionale transalpina. Ma prima, durante l’infanzia, aveva
assistito nel suo paese a molti episodi cruenti: l’esercito
francese fu spietato nella repressione delle prime manifestazioni per
l’indipendenza del popolo algerino. Ci furono scontri duri e molte
vittime. In seguito, la sua famiglia emigrò in Francia e lui
cominciò a giocare, diventando presto un abile centrocampista. Nel
1957 fece parte della nazionale militare che si aggiudicò i mondiali
militari (e sì, c’erano anche questi…) in Argentina. Sempre in
quell’anno, vinse il il campionato con il Saint-Etienne.
Nel
1958, in procinto di essere convocato per i campionati mondiali
(quelli veri) in Svezia, poi vinti dal Brasile di Pelé,
Rachid scomparve. E non solo lui: altri 11 giocatori algerini
sparirono dalla scena per ricomparire in Algeria, qualche giorno
dopo, attraverso trasferimenti segreti. Era un piano organizzato da
Mohamed Bouzmezrag: l’idea era quella di costruire una squadra
algerina per appoggiare il Fronte di Liberazione Nazionale. Fu
organizzato un tour mondiale per giocare tutta una serie di partite
amichevoli. Quella squadra non era ovviamente riconosciuta dalla Fifa
(la federazione internazionale), ma portò il suo contributo alla
lotta per l’indipendenza. Dopo averla ottenuta, Mekhloufi fece
ritorno in Europa, militando un anno nel Servette, in Svizzera. In
seguito, tornò al Saint-Etienne, allora in seconda divisione. Furono
subito promossi, vincendo poi altri tre campionati. Mekhloufi ricorda
spesso il suo nuovo esordio transalpino, confessando l’ansia che
provata in quei momenti, svanita in un applauso alla sua prima
giocata importante: dribbling e assist per un gol. Terminò la sua
carriera nel Bastia, dove diede inizio anche a quella di allenatore,
diventando poi commissario della nazionale algerina. Oggi è
giustamente orgoglioso di essere stato un rivoluzionario che ha
lottato per l’indipendenza del suo paese.
-
Carlos Humberto Caszely è stato uno dei più grandi campioni del
Colo-Colo, squadra della prima divisione cilena, e terzo marcatore di
sempre della nazionale, conosciuto dai tifosi come “el rey del
metro quadrado”, perché inarrestabile nello spazio breve dove
faceva valere il suo baricentro basso, piedi buonissimi e muscoli
esplosivi. Dopo il golpe dell’11 settembre del 1973, in Cile si
insediò la giunta militare e il Colo-Colo, replicando un
“adeguamento” praticato da molti club sudamericani in presenza di
dittature, dichiarò Pinochet presidente onorario della squadra. Il
clima non era dunque più favorevole per Caszely, vicino al partito
comunista cileno, che si trasferì in Spagna, al Levante, continuando
però a giocare nella nazionale cilena. In occasione di una partita
per la qualificazione dei mondiali 1974, Pinochet fece vista alla
squadra e Carlos fu l’unico a non stringergli la mano, evidenziando
il suo fermo dissenso al regime. Non era facile, negli anni in cui
gli oppositori venivano gettati in mare dagli aerei o finivano nello
stadio lager di Santiago per essere torturati e fatti fuori, come
accadde a Víctor
Jara, cui gli aguzzini spezzarono anche le dita, invitandolo poi
sadicamente a suonare per loro prima di ucciderlo. Caszely era
ovviamente protetto dalla sua fama e dal fatto di giocare in Spagna.
Nel 1975 ottenne la doppia nazionalità e divenne naturalizzato
spagnolo. Giocò tra l’altro in una selezione catalana (sembra di
essere a oggi…) impegnata in un’amichevole contro la Russia,
insieme ad altri stranieri, come Cruijff e Neeskens. Nel 1979 fu
premiato come il miglior giocatore della Coppa America. In seguito,
nel 1983, fu escluso dalla nazionale per un veto del regime e, guarda
caso, il Cile non si qualificò per i mondiali in Argentina.
La
sua partita di addio, nel 1985, col Colo-Colo contro una squadra di
stelle sudamericane, si trasformò in un atto politico contro la
dittatura. Nel 1988, in occasione del referendum, accettato dai
generali, per decidere se legittimare ancora la giunta militare o
aprire un processo democratico, Caszely partecipò alla campagna
elettorale, insieme alla madre, che denunciò pubblicamente le
torture e gli abusi di cui era stata vittima. Pinochet fu sconfitto
nelle urne col 56% dei voti il 5 ottobre 1988. Carlos studiò poi
giornalismo e lavorò infine per la televisione. Ricorda spesso con
orgoglio quanto gli disse, tanto tempo prima, un minatore : 'Carlito,
tu sei la nostra voce'.
- Le sorelle Döller e Irene Muller giocavano nell’Hellas Kaghan, squadra femminile austriaca. Nella primavera del 2007, alla presidenza della squadra, sostituendo il socialdemocratico Paul Rapp, arrivò Martin Graf, politico di estrema destra, appartenente alla fratellanza Olimpia, organizzazione vicina al neonazismo. In poco tempo, le tre giocatrici si ribellarono al loro presidente, accusandolo di razzismo e sessismo, inoltre di voler utilizzare la squadra per la sua propaganda politica.. Naturalmente furono licenziate, insieme a Joseff Bittterman, allenatore delle giovanili, che le aveva appoggiate. Ci fu anche un episodio curioso. La squadra under 18 del F.C. Mauer, in occasione di una partita contro l’Hellas Kagram, indossò, durante il riscaldamento, delle magliette con scritte a sostegno delle tre giocatrici e fu, paradossalmente, multata per comportamento non regolamentare. Le tra calciatrici, per nulla arrese, organizzarono a Vienna un torneo di calcio contro il razzismo che ebbe un successo straordinario. Irene Muller, Lucia e Margarita Döller furono velocemente ingaggiate dalla squadra F.C. Stadium, rivale storica dell’Hellas Kagram, di cui Martin Graf continua a essere presidente.
La vicenda delle giocatrici austriache mette in luce qualcosa cui non si dedica troppa attenzione, ma che segnala convinzioni e comportamenti sempre più inaccettabili. Visto che il linguaggio è sempre la spia delle nostre posizioni umane, culturali e politiche, sarebbe utile riflettere su parole che, purtroppo, sento spesso ripetere e che veicolano un concetto offensivo, ma che continua imperterrito a prosperare, trasversale a tutte le appartenenze politiche. Le frasi, conosciutissime, sono sempre le stesse: “ecco uno coi coglioni”, oppure “quello ha gli attributi”. Oppure, addirittura, “quella ha gli attributi”, oppure “ecco una coi coglioni”. O anche “quella è una cazzuta”. Concetti a volte espressi anche da donne. Ora, che il carattere, il coraggio, la convinzione, la bravura, la coerenza, la forza morale, la determinazione siano merito di due ammennicoli penduli e di un salsicciotto inaffidabile, escludendo da queste doti tutto il mondo femminile, è una fake news secolare che sarebbe ora di ridurre alla ragione. Altrimenti il maschilismo patriarcale e oltraggioso continuerà a dominare e fare danni, allontanando impunemente la reale parità di genere, unica via d’uscita dall’apartheid umano e culturale."
Com'è cambiato il calcio da quando l'hai lasciato tu e come lo trovi oggi? Cosa ti manca? Si è conservato qualcosa dello spirito più autentico e profondo di questo sport? Se potessi cambiare il calcio oggi cosa faresti?
- Le sorelle Döller e Irene Muller giocavano nell’Hellas Kaghan, squadra femminile austriaca. Nella primavera del 2007, alla presidenza della squadra, sostituendo il socialdemocratico Paul Rapp, arrivò Martin Graf, politico di estrema destra, appartenente alla fratellanza Olimpia, organizzazione vicina al neonazismo. In poco tempo, le tre giocatrici si ribellarono al loro presidente, accusandolo di razzismo e sessismo, inoltre di voler utilizzare la squadra per la sua propaganda politica.. Naturalmente furono licenziate, insieme a Joseff Bittterman, allenatore delle giovanili, che le aveva appoggiate. Ci fu anche un episodio curioso. La squadra under 18 del F.C. Mauer, in occasione di una partita contro l’Hellas Kagram, indossò, durante il riscaldamento, delle magliette con scritte a sostegno delle tre giocatrici e fu, paradossalmente, multata per comportamento non regolamentare. Le tra calciatrici, per nulla arrese, organizzarono a Vienna un torneo di calcio contro il razzismo che ebbe un successo straordinario. Irene Muller, Lucia e Margarita Döller furono velocemente ingaggiate dalla squadra F.C. Stadium, rivale storica dell’Hellas Kagram, di cui Martin Graf continua a essere presidente.
La vicenda delle giocatrici austriache mette in luce qualcosa cui non si dedica troppa attenzione, ma che segnala convinzioni e comportamenti sempre più inaccettabili. Visto che il linguaggio è sempre la spia delle nostre posizioni umane, culturali e politiche, sarebbe utile riflettere su parole che, purtroppo, sento spesso ripetere e che veicolano un concetto offensivo, ma che continua imperterrito a prosperare, trasversale a tutte le appartenenze politiche. Le frasi, conosciutissime, sono sempre le stesse: “ecco uno coi coglioni”, oppure “quello ha gli attributi”. Oppure, addirittura, “quella ha gli attributi”, oppure “ecco una coi coglioni”. O anche “quella è una cazzuta”. Concetti a volte espressi anche da donne. Ora, che il carattere, il coraggio, la convinzione, la bravura, la coerenza, la forza morale, la determinazione siano merito di due ammennicoli penduli e di un salsicciotto inaffidabile, escludendo da queste doti tutto il mondo femminile, è una fake news secolare che sarebbe ora di ridurre alla ragione. Altrimenti il maschilismo patriarcale e oltraggioso continuerà a dominare e fare danni, allontanando impunemente la reale parità di genere, unica via d’uscita dall’apartheid umano e culturale."
Com'è cambiato il calcio da quando l'hai lasciato tu e come lo trovi oggi? Cosa ti manca? Si è conservato qualcosa dello spirito più autentico e profondo di questo sport? Se potessi cambiare il calcio oggi cosa faresti?
"Sono
uno dei nostalgici delle giornate di campionato con tutte le partite
in contemporanea, che trasmettevano le istantanee emozioni di
sorpassi e distacchi. Senza anticipi, posticipi e rimandi dei conti.
Purtroppo, con l’avvento delle pay tv, e del
relativo denaro circolante, sarà impossibile tornare indietro, anzi,
si può
ancora peggiorare... In ogni caso, gli stadi così
spesso vuoti sono comunque tristi e il
tifo, ultrà a parte, sembra diventato un affare privato, da
esprimere tra le mura di casa o al bar, e questo toglie molto al
fascino del pallone. Per il resto, cioè tutto
ciò che riguarda i meccanismi di
governo in Federazione e Lega, se persone in gamba come Enzo Ulivieri
e Damiano Tommasi non sono riusciti a evitare il commissariamento,
non sono
certo io a poter
dare suggerimenti. Quello che mi piacerebbe vedere è un incremento
dell’opportunità calcistica per le donne e mi sembra che l’obbligo
per le squadre di A e B di avere anche le squadre femminili sia un
decisivo passo avanti. Vorrei anche che nei settori giovanili si
ritrovasse un po’ quella
giocosità tanto necessaria
nei primi
approcci con questo sport. Inoltre, sarebbe il momento, per dirigenti
e allenatori, di liberarsi dell’ansia da risultato che, oltre ad
essere diseducativa, stressa i ragazzi e ne 'strapazza'
l’immaginario. Infine, sarebbe bello riuscire ad arginare il 'campionismo' dei genitori. Sono fiero del fatto che nella sede
del Vanchiglia, a Torino, dove ho cominciato a giocare (più di mezzo
secolo fa ormai...),
sia esposto un cartello con scritto: 'Se
pensate che vostro figlio sia un campione, non portatelo da noi'.
Poche parole che sono un manifesto di apertura mentale e filosofia
sportiva".
A questo punto vorrei chiederti un piccolo bilancio della tua esperienza da allenatore e inoltre, riallacciandomi a quanto hai appena detto, volevo chiederti un giudizio sull'evoluzione del calcio dilettantistico e sul modo in cui i bambini iniziano il percorso verso il professionismo.
"Speravo
che l’esperienza in panchina replicasse quella in campo: partenza
dal basso e progressiva ascesa verso le parti
alte di questo sport. Non è andata così
e ne sono molto deluso. Evidentemente non avevo il talento
necessario. Considero quindi la carriera di allenatore un fallimento
professionale, anche se molto gratificante sul piano dei rapporti
umani e dell’incontro con vere passioni sportive, anche se
marginali e periferiche. Ho conosciuto infatti giocatori e dirigenti
che hanno decisamente arricchito il mio bagaglio umano e ai quali
sono grato. Il settore dilettantistico, forse perché distante dalla
potenza economica di quello professionistico, conserva ancora molti
dei valori che accompagnano la magia irriducibile di questo gioco.
Sono momenti in cui il mondo conosce ribaltamenti in ogni settore e
il calcio non fa eccezione. Quello che mi colpisce di più è
l’approccio iniziale alla 'materia', nei settori giovanili.
Diversamente da quanto accadeva alle generazioni precedenti, oggi
l’accesso alla pratica sportiva, qualunque essa sia, non avviene
attraverso il gioco infantile, dunque il divertimento, con le
sue indefinibili
e indefinite autogestioni, ma parte
immediatamente dalle scuole calcio (o pallacanestro, rugby, pallavolo
eccetera). Insomma, devi iscriverti a una qualche società: questo
significa che qualcuno ti guida nell'esercitare
quello sport, e questo già ti chiude in uno schema e in una
gerarchia. Quanto questo tolga alla
naturalezza e alla fantasia, magari con un miglioramento anticipato
della tecnica, lo studieranno sociologi e forse psicoterapeuti, ma è
un segno dei tempi irreversibile e diffuso in ogni campo. Chi avrebbe
pensato, qualche tempo fa alle scuole di scrittura? Eppure sono nate,
funzionano e sono anche simpatiche. È però un accesso diverso,
proprio perché programmato, alla meraviglia dello
scrivere e allo stupore di sentirsene capaci. Avremo scrittori
migliori? Difficile dirlo, ma preferisco ancora il vecchio percorso,
quello che si addentra nel
sottobosco dei dubbi.
Per
tornare al rapporto controverso col ruolo di allenatore, non posso
negarmi una accenno alla panchina parallela che ho frequentato,
quella dell’Osvaldo Soriano Football Club, la nazionale degli
scrittori. A parte che allenavo e giocavo pure, quella è stata
invece un’esperienza formidabile, dove ogni
volta non sapevi cosa avresti trovato,
nel bene e nel male, ma eri cosciente del fatto che non l’avresti
mai dimenticato. Intanto, quasi tutti i 'soriani' vivevano una
specie di rivincita: una nuova occasione nel calcio con cui, da
ragazzi, evidentemente non
si erano capiti. E quindi la ricerca in campo dei dribbling perduti,
delle sponde sognate, dei goals
invidiati, delle parate allucinogene e delle 'sbroccature'
artistiche. Dunque un ambiente sempre provocatorio e imprevedibile.
Inoltre, giocando coi pari europei, ogni volta ci sono sempre stati
eventi culturali in cui sdoppiarsi e avventurarsi.
Personalmente
ricordo di aver ammorbato la nostra mailing list per alcuni anni con
le cronache bizzarre degli incontri disputati dalle mia squadre 'ufficiali' nel campionato di Eccellenza piemontese. Ma col
trucco di raccontare le partite come fossero giocate da una
formazione coi nomi dei soriani, rispettando rigorosamente i ruoli e
facendoli così esordire in un campionato non esattamente alla loro
portata (salvo rare eccezioni...). Era comunque un clima surreale,
dove, ad esempio, qualcuno di loro si incazzava se nella partita per
procura veniva escluso dalla scelta iniziale oppure se un compagno
non gli passava la palla immaginaria. Una bella atmosfera, talmente
letteraria da sembrare vera.
Da
qualche anno, allenatore dell’Osvaldo Soriano
è Francesco Trento, che ha conseguito
migliori risultati dei miei,
tanto per cambiare…"
A parte quelle interessantissime che ci hai raccontato prima, nella tua storia personale hai conosciuto o saputo di giocatori che siano stati davvero capaci di lottare per grandi cause fuori dal campo?
"Non era certo una gran causa, ma con qualcuno avevamo ipotizzato di far nascere una versione del sindacato schierato apertamente a sinistra e pronto a lottare su vari temi sociali, contribuendo in qualche modo a costruire una società più equa e solidale. Non funzionò. Furono coinvolti, su iniziativa di Enzo Belforte, giornalista di 'Tuttosport', Maurizio Codogno (la prima riunione fu in casa sua, a Terni), Andrea Mitri, Gabriele Ratti, Ezio Galasso, Maurizio Montesi, Dino Pagliari, Ezio Blangero, Luciano Cesini e Pino Lazzaro. La proposta di concordare un percorso comune con le altre forze sindacali in appoggio a varie iniziative politiche e sociali, essendo in grado di raggiungere un vasto bacino di interesse, non fu accolta dall’Associazione Calciatori. Anche noi però ci credevamo poco, infatti ognuno riprese la propria strada personale, forse anche con un sospiro di sollievo…"
A parte quelle interessantissime che ci hai raccontato prima, nella tua storia personale hai conosciuto o saputo di giocatori che siano stati davvero capaci di lottare per grandi cause fuori dal campo?
"Non era certo una gran causa, ma con qualcuno avevamo ipotizzato di far nascere una versione del sindacato schierato apertamente a sinistra e pronto a lottare su vari temi sociali, contribuendo in qualche modo a costruire una società più equa e solidale. Non funzionò. Furono coinvolti, su iniziativa di Enzo Belforte, giornalista di 'Tuttosport', Maurizio Codogno (la prima riunione fu in casa sua, a Terni), Andrea Mitri, Gabriele Ratti, Ezio Galasso, Maurizio Montesi, Dino Pagliari, Ezio Blangero, Luciano Cesini e Pino Lazzaro. La proposta di concordare un percorso comune con le altre forze sindacali in appoggio a varie iniziative politiche e sociali, essendo in grado di raggiungere un vasto bacino di interesse, non fu accolta dall’Associazione Calciatori. Anche noi però ci credevamo poco, infatti ognuno riprese la propria strada personale, forse anche con un sospiro di sollievo…"
Come vedi la
situazione politica italiana di oggi? Pensi abbia ancora senso
parlare di “impegno” e, se sì, in che modo?
"L’impegno
è sempre più necessario perché ho l’impressione che il mondo
stia tornando indietro, dunque bisogna rispondere. Ovviamente, per
analizzare quanto sta succedendo sarebbero necessari approfondimenti
corposi, ma alcuni punti sono comunque chiari. Intanto sono tornati
in discussione diritti che sembravano acquisiti per sempre,
soprattutto nel mondo del lavoro: raccontandola alla grossa, credo
che ciò
sia dovuto al cedimento delle forze progressiste, che si sono illuse
di orientare il capitale da sinistra. Intanto, attraverso un percorso
sotto traccia, ma inesorabile, la finanza ha preso il dominio
sull’economia e sulla politica. Per individuarne l’atto iniziale,
credo sia necessario andare al momento
in cui è stata eliminata al distinzione
tra banche di deposito e banche
d’affari, introdotta negli Stati Uniti per contrastare la crisi del
1929 (Glass-Steagall Act, 1934, voluta da Franklin Delano Roosevelt).
Questa riforma fu preparata dai repubblicani e portata a termine dal
democratico Bill Clinton nel 1999. Da quel momento, nulla è più
stato come prima, con la marea montante di mutui subprime,
derivati e altre porcherie finanziarie. In questo modo è entrata in
crisi l’economia: perché investire sul lavoro se si possono fare i
soldi coi soldi, attraverso maneggi sconosciuti ai più e
difficilmente controllabili? Così, nel tempo della globalizzazione,
è diventato secondario anche il ruolo della politica, costretta a
rincorrere le crisi che si avvicendano
e a cercare soluzioni tampone, attraverso provvedimenti di austerità
e randellando il welfare. Se aggiungiamo la letale 'terza via' di
Toni Blair, guerrafondaio di menzogne, si può capire come la
sinistra di governo (ultima formula del travestimento) abbia davvero
perso la strada di casa e si aggiri confusa nella pericolosa
prateria evocata dalle teorie di Milton Friedman: il mercato come
unico regolatore dell’economia, e che lo Stato
non rompa le palle! Qualcosa di molto distante dalla storia di lotta
dalla parte opposta, patrimonio dei vari partiti comunisti. Quando
sento i dirigenti del Pd invocare la privatizzazione di più o meno
tutto e la realizzazione di grandi opere inutili come soluzione degli
attuali problemi economici, mi chiedo che fine abbia fatto una
visione realmente alternativa e quanto sia stata svilita
l'idea di equità sociale. Dopo i troppi
compromessi, i 'sinistri' di governo (definizione quanto
mai calzante) dovrebbero fare ammenda,
riconoscere la loro responsabilità e accorgersi definitivamente che,
proprio perchè
il capitale non fa prigionieri e aumenta i profitti, l’errore di
posizionamento è stato imperdonabile.
Suggerirei
anche, per alleggerire un po’, l’ascolto di una bella canzone
della Casa del Vento, 'Loi du marché', con un ritornello inflessibile: 'n’est pas
la loi de marché / qui fairà ma liberté, / non ci arrenderemo mai
/ a un futuro che non c’è'.
Detto
questo, mi spiace per chi si riempie la
bocca con la storia del
voto utile (che normalmente porta a maggioranze inutili e dannose) e
si sbraccia contro la frammentazione della sinistra, magari dopo
averla provocata. Io
voterò allora
Potere al Popolo. Il modo rocambolesco in cui è nato il progetto,
l’energia e il dinamismo, che hanno permesso di raggiungere quasi
il doppio delle firme necessarie per presentarsi alle elezioni, fanno
ben sperare. Chissà che non sia l’inizio di una nuova, necessaria,
assunzione di coscienza delle generazioni più giovani, capace di
spingerle a prendere finalmente in mano il proprio destino precario,
invece di delegarlo a chi ci ha condotti
al disastro
attuale. Sarebbe il primo passo per rendere nuovamente il futuro
un’apertura verso delle
possibilità invece che una minaccia". (intervista di Gianni Tarquini)
[Le storie particolareggiate di Sindelar, Weisz ed Erbstein, insieme ad alcune altre, si trovano su un numero speciale si A/rivista anarchica, intitolato La svastica allo stadio. Gli articoli sono scritti e curati da Giovanni A. Cerutti, direttore dell’Istituto Storico della Resistenza di Novara; altre storie interessanti qui raccontate, come quella di Caszely e di Mekhloufi, sono riportate nel libro Calciatori di sinistra di Quique Peinado].
[Le storie particolareggiate di Sindelar, Weisz ed Erbstein, insieme ad alcune altre, si trovano su un numero speciale si A/rivista anarchica, intitolato La svastica allo stadio. Gli articoli sono scritti e curati da Giovanni A. Cerutti, direttore dell’Istituto Storico della Resistenza di Novara; altre storie interessanti qui raccontate, come quella di Caszely e di Mekhloufi, sono riportate nel libro Calciatori di sinistra di Quique Peinado].
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