"L'età Calcio". Intervista a Francesco Trento
Francesco Trento, scrittore
sceneggiatore, appassionato di calcio. È
attaccante e allenatore della Osvaldo Soriano FC, la nazionale degli scrittori.
Tra le sue opere ricordiamo “20 sigarette a Nassirya”, “Matti per il calcio”,
“Zero”. Ha accompagnato l’organizzazione della Dream World Cup Roma 2018.
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Francesco Trento con Federico Gallo |
Dal 13 al 16 maggio a Roma si è
svolto il torneo della Dream World Cup, campionato mondiale di calcio a cinque
per ragazzi con problemi di salute mentale. Un sogno che diventa realtà.
Raccontaci il percorso dell'organizzazione, le difficoltà incontrate e gli
aiuti ricevuti. Soprattutto il senso dell’evento.
“Guarda, il percorso che ci ha
portati alla Dream World Cup lo abbiamo raccontato con Volfango De Biasi nel
libro “Crazy for Football”, dal primo documentario del 2004 alla diffusione nel
mondo di questa idea tutta italiana di aiutare il reinserimento sociale dei
ragazzi con problemi di salute mentale attraverso il calcio. Poi è venuto il
film, è arrivato il David di Donatello, e per uno di quei casi fortunati della
vita qualche mese dopo a una presentazione del libro abbiamo incontrato Valerio
Di Tommaso: si è presentato raccontandomi che si occupava di bandi europei,
dopo qualche giorno l’abbiamo fatto conoscere a Santo Rullo. Con la sua ECOS è
diventato poi l’infaticabile organizzatore del mondiale. Le difficoltà sono state tante,
alcune non sono ancora risolte, nel senso che abbiamo trovato fondi che hanno
coperto solo in parte le spese del torneo. D’altronde si trattava di far
arrivare in Italia atleti e staff di 10 differenti nazioni in tre continenti
diversi (in realtà erano quattro, ma il Senegal alla fine non ce l’ha fatta).
Sugli aiuti, abbiamo avuto il sostegno anche finanziario del Comune di Roma,
che ci ha concesso l’uso del magnifico Palazzetto dello Sport, poi della
Regione Lazio e della Figc. E infine l’intervento di moltissimi donatori
privati, da amici che hanno versato cinque, dieci, venti euro a donazioni importanti
come quelle del ristorante Saltimbocca di Matteo Berio, o i mille euro versati
da una squadra di terza categoria, l’Asd Gandinese del presidente Francesco
Castelli, o i duemilacinquecento euro raccolti a Gerenzano grazie a Ezia
Moroni, Anna Bonzini e Rosella Spineto. Quando mi chiedi del senso dell’evento
ecco, io penso subito a loro, a tutti gli amici e gli sconosciuti che hanno
voluto aiutarci con una piccola donazione o semplicemente venendo a sostenere i
nostri ragazzi sugli spalti del Pala Tiziano. Proprio grazie a loro, prima
ancora del fischio d’inizio, in questa coppa avevamo già i primi due sconfitti:
la solitudine e lo stigma.”
Vedendo “Matti per il calcio” e
seguendo le storie dei ragazzi della squadra si ha l’impressione di coglierli
in una fase in cui i benefici della socializzazione e del loro essere
protagonisti del progetto siano già visibili. Ci piacerebbe sapere, da te che
li hai seguiti dall’inizio, quanto grandi sono stati i progressi che sono
riusciti a raggiungere. Quanto grande è stata la loro crescita come individui e
all’interno del gruppo?
“Io credo che la cosa più bella sia stata vederli diventare degli atleti. Sin dal primo giorno, mister Zanchini ha iniziato a martellarli, e così Vincenzo Cantatore che li ha allenati anche nella sua palestra Top Rank Cantatore. Per ragazzi abituati a sentirsi trattare con un po’ di condiscendenza, all’inizio gli urlacci di Enrico sono stati duri da digerire (‘aho’ stai a passeggia’ invece di correre, vuoi che te damo un cane cor guinzaglio, almeno non se nota?’; ‘alza la testa’ oh, che stai a cerca’ gli spicci? Abbiamo già raccolto tutto, alza la testa, il calcio si gioca a testa alta!’). Ma in poco tempo hanno capito che quel modo era il modo giusto, che venivano considerati degli atleti, che gli si chiedeva di essere quasi dei professionisti. E nel giro di due-tre giorni hanno iniziato a comportarsi come atleti. Atleti veri, perché chiunque pensi il contrario può andarsi a vedere i goal di Fabio Licata, di Enrico Manzini, del bomber Mattia Armanni, di Christian Maoddi e dei loro compagni. Lo stesso telecronista di Raisport è saltato in piedi ad applaudire qualche giocata, segno che questo era un vero mondiale.”
“Io credo che la cosa più bella sia stata vederli diventare degli atleti. Sin dal primo giorno, mister Zanchini ha iniziato a martellarli, e così Vincenzo Cantatore che li ha allenati anche nella sua palestra Top Rank Cantatore. Per ragazzi abituati a sentirsi trattare con un po’ di condiscendenza, all’inizio gli urlacci di Enrico sono stati duri da digerire (‘aho’ stai a passeggia’ invece di correre, vuoi che te damo un cane cor guinzaglio, almeno non se nota?’; ‘alza la testa’ oh, che stai a cerca’ gli spicci? Abbiamo già raccolto tutto, alza la testa, il calcio si gioca a testa alta!’). Ma in poco tempo hanno capito che quel modo era il modo giusto, che venivano considerati degli atleti, che gli si chiedeva di essere quasi dei professionisti. E nel giro di due-tre giorni hanno iniziato a comportarsi come atleti. Atleti veri, perché chiunque pensi il contrario può andarsi a vedere i goal di Fabio Licata, di Enrico Manzini, del bomber Mattia Armanni, di Christian Maoddi e dei loro compagni. Lo stesso telecronista di Raisport è saltato in piedi ad applaudire qualche giocata, segno che questo era un vero mondiale.”
Affrontare il disagio psichico
(anche) col calcio. Illuminante il concetto secondo cui trovandosi su un campo,
oltre a rompere l'isolamento e vedersi proiettati in un contesto sociale, i
ragazzi possono confrontarsi con un avversario reale e non più solo con i loro
fantasmi. Che sviluppo ha avuto questo metodo in Italia e nel mondo? C'è stato
qualche campione che si è messo a disposizione per sostenere il progetto? Qual
è stata la reazione del calcio di serie A?
“Come ti
dicevo, siamo passati dalle poche squadre italiane del 2004, anno in cui con
Volfango De Biasi avevamo prodotto ‘Matti per il calcio’, alle più di
cinquemila (forse ormai quasi diecimila) squadre di pazienti psichiatrici
esistenti ora in tutto il mondo. Segno che l’idea era molto buona e aveva solo
bisogno di essere raccontata per andar poi avanti e farsi strada nella psichiatria
sociale. Il primo mondiale a Osaka aveva quattro squadre, ora a Roma abbiamo
portato nove nazionali. Con la prossima tappa, in Perù nel 2020, miriamo ad
allargare ancora il numero delle nazioni partecipanti. Perché ovunque ci sia
una nazionale nascono dei campionati, ovunque ci sia una nazionale la
psichiatria sociale fa dei passi in avanti, lo stigma viene affrontato e
sconfitto. In Italia sono stati molti i calciatori a sostenere il progetto:
Tardelli è venuto a premiare i vincitori al palazzeto, Mihajlović ci ha sostenuti ed è
stato con noi nel giorno della finale, Del Piero ha mandato un bellissimo video
ai ragazzi della nazionale italiana, Totti ha ospitato Christian Maoddi e
capitan Carini a Trigoria lo scorso anno. E poi Costacurta, Di Biagio, Maldini,
molti altri che non hanno fatto mancare il loro sostegno, anche grazie alla
Figc che da due anni è al nostro fianco in questo progetto.”
“Per me ha sempre rappresentato
una cosa: la dimensione ludica e collettiva della vita. Come diceva Gian Luca
Favetto a proposito della nostra Nazionale Scrittori, chi entra in campo non ha
più trenta, quaranta, cinquant’anni. Dentro il campo abbiamo tutti l’età
calcio, ed è quasi sempre un’età felice (tranne magari quando perdiamo la testa
per un fuorigioco o un rigore non fischiato, nel qual caso appunto ci
appelliamo al fatto di aver avuto sette-otto anni per qualche secondo). E poi
il calcio è democratico, una volta che l’arbitro fischia l’inizio non ci sono
più lo psichiatra, lo schizofrenico, l’infermiere, il ricco, il povero. C’è l’ala
destra, il bomber infallibile, l’attaccante scarso che le sbaglia tutte. Quando
giravamo ‘Matti per il calcio’ abbiamo visto scene meravigliose, ragazzi che si
rivolgevano allo psichiatra dandogli del lei, ‘dottore, scusi, senta’, che due
secondi dopo, appena iniziata la partita, gli urlavano: ‘Mauro, ma se non sai
stoppa’ er pallone va’ in panchina, cazzo!’"
Calcio e scrittura, un connubio
fertile che hai avuto modo di approfondire. Quali gli autori che preferisci?
“Se parliamo di autori che hanno
scritto di calcio, la mia personale classifica vede al primo posto Osvaldo
Soriano, cui abbiamo intitolato la nazionale scrittori italiana. Suoi sono
alcuni dei migliori personaggi della storia, come il Mister Peregrino Fernandez
o l’arbitro Gallardo Perez, o il figlio di Butch Cassidy, o El Gato Diaz. Ho
amato moltissimo ‘Il maledetto United’ di David Peace (mentre ‘Red or Dead’ mi
ha annoiato a tal punto che non sono riuscito a finirlo), e poi ovviamente ‘Febbre
a 90°’ di Nick Hornby. In Italia
consiglierei senz’altro ‘Un’ultima stagione da esordienti’, del mio amico
Cristiano Cavina, per anni terzino destro nella nazionale scrittori.”
La Osvaldo Soriano FC, la
nazionale degli scrittori che alleni, che obiettivi si pone? Che seguito ha?
“Guarda, come primo obiettivo
abbiamo divertirci e giocare. Poi ogni tanto riusciamo anche a fare delle cose
belle, come i 1000 volumi raccolti per la biblioteca multiculturale Karalettura
di Cagliari. Il seguito è scarsino, solo durante i mondiali possiamo dire
d’aver visto un pubblico numeroso, se no mediamente giochiamo davanti a qualche
amico. Gli scrittori non sono mediatici. Pensa che una volta a Napoli delle
ragazze chiamarono Baricco dagli spalti, a gran voce. Lui si avvicinò e allora
una delle due gli disse, consegnandogli un taccuino e una penna: ‘Che per
favore mi fai fare un autografo da lui?’ ‘Lui’ era un attore di quint’ordine di
una fiction Rai.”
Come mai oltre al tifo laziale
dichiari di avere simpatie romaniste? È un vezzo? Un paradosso? O cosa?
“No, né vezzo né paradosso.
Semplicemente la Roma non mi è antipatica e credo che la rivalità tra le
squadre della capitale sia una gran scemenza. Innanzitutto storicamente è
sempre stata la squadra dei brasiliani e io ho una gran passione per il
Brasile. E poi non è una squadra di potere come il Milan o la Juventus. Sono
quelle le squadre contro cui tifare, le squadre da gufare, le squadre che se
perdono sei contento perché forse per una volta vince qualcuno con meno potere,
con meno soldi, con meno aiuti. Io tifo sempre per le squadre sfavorite, nel
calcio cerco la narrazione (e infatti ho anche tifato la Juve contro il Real
Madrid, non perché italiana, ma perché sfavorita). La Roma, se ci pensate, è la
squadra di una delle narrazioni più belle degli ultimi vent’anni, la squadra di
un Capitano che non ha mai cambiato maglia, il cui addio al calcio ha
emozionato milioni di tifosi in tutto il mondo.
La Roma per anni ha tenuto testa a una Juve imbattibile, ha sfidato il potere, la Roma quest’anno ha compiuto un’impresa fantastica battendo il Barcellona e quasi ribaltando anche il risultato di Liverpool. Come si fa a tifare contro una squadra così? Io tifo contro i giallorossi solo due volte l’anno, al derby. Nel resto del campionato invece è quasi una seconda squadra.”
La Roma per anni ha tenuto testa a una Juve imbattibile, ha sfidato il potere, la Roma quest’anno ha compiuto un’impresa fantastica battendo il Barcellona e quasi ribaltando anche il risultato di Liverpool. Come si fa a tifare contro una squadra così? Io tifo contro i giallorossi solo due volte l’anno, al derby. Nel resto del campionato invece è quasi una seconda squadra.”
Chi sono per te i tre campioni, e
le tre squadre, più grandi di sempre?
“Maradona è stato il più grande
di sempre, sicuramente Messi e Cristiano Ronaldo sono dei fenomeni ma lui era
un gradino sopra a tutti. Da attaccante, fammi uscire dalla polemica sui più
grandi giocatori di sempre, così mi risparmio Pelé, Cruyff, e altri che ho
visto giocare ben poco e fammi nominare due centravanti che ho amato
moltissimo: Van Basten e poi il mio idolo di quando ero ragazzino: Bruno
Giordano.
Come squadre, direi il Brasile
del 1982, probabilmente il Barcellona di qualche anno fa e boh, da tifoso fammi
dire anche la Lazio di Veron, Mihajlović,
Nesta, Salas, Nedved, Mancini. Sono stati anni bellissimi, anche se
probabilmente abbiamo vinto meno di quanto avremmo potuto. Però la cosa più
bella che ho visto su un campo di calcio è stata la coppa di Francia del
1999-2000, quando il Calais, una squadra di dilettanti, ha eliminato squadre di
B e di A e ha perso la finale col PSG solo grazie a un rigore molto generoso.
Se trovate la puntata di ‘Sfide’ dedicata a quella storia, correte a guardarla.”
Che Mondiali saranno quelli del
2018 in Russia? Chi vedi come favorito?
“Sai che non ho ancora deciso per
chi tifare? Saranno senz’altro dei Mondiali molto strani per l’assenza
dell’Italia. Proprio qualche giorno fa uno dei nostri ragazzi della Dream World
Cup mi diceva: “Io sarò pure matto, e va bene, ma Ventura che gioca con due
centrocampisti contro la Spagna allora cos’è?”
Non so, da un lato potrebbe essere l’ultima occasione per Messi di portarsi a casa un mondiale. Dall’altro forse Brasile e Germania sono messe meglio. Sono molto curioso di vedere se la Francia sarà in grado, come sostengono i bookmakers, di salire sul podio.”
Non so, da un lato potrebbe essere l’ultima occasione per Messi di portarsi a casa un mondiale. Dall’altro forse Brasile e Germania sono messe meglio. Sono molto curioso di vedere se la Francia sarà in grado, come sostengono i bookmakers, di salire sul podio.”
Chi sono, tra tutti i ragazzi che
hai conosciuto, i tre “matti per il calcio” che ti hanno colpito di più e
perché?
“Guarda, farei senz’altro un
torto agli altri ragazzi se ne nominassi solo tre. Mi ha colpito molto questa
nazionale proprio per la capacità di fare spogliatoio, al di là di ogni
difficoltà. Quindi ne nominerò soltanto uno, che siccome sta passando un
periodo di fragilità non se l’è sentita di essere con noi per la Dream World
Cup. È un ragazzo con cui avevo legato molto durante l’avventura giapponese:
Stefano Bono, di Trieste. Spero possa tornare presto in squadra, il mister gli
ha dedicato la vittoria e noi lo aspettiamo per il mondiale in Perù del 2020.”
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