Uruguay, la prova che tutto è possibile


Sabato 30 giugno alle 20.00 ora italiana il primo ottavo di finale vedrà di fronte l'Uruguay due volte campione del mondo e il Portogallo di Cristiano Ronaldo. Ospitiamo un intervento di Mario Occhinero, amministratore del gruppo facebook Italiani per la Celeste.



"Ogni volta che la squadra gioca, non importa chi sia la rivale, il paese trattiene il respiro, politici, cantanti e venditori ambulanti si zittiscono, gli amanti interrompono le carezze, e le mosche smettono di volare." Con queste parole lo scrittore Eduardo Galeano descriveva il sentimento nei confronti della Selección dell'Uruguay, la gloriosa "celeste" dal tradizionale colore della maglia.
La garra charrúa, in riferimento alla grinta dei giocatori, è il simbolo del calcio uruguaiano, un piccolo paese con un gran palmarès che ha costruito la propria identità a partire dai trionfi calcistici. I migliori risultati li ha ottenuti tra gli anni venti e gli anni cinquanta del XX secolo quando vinse due mondiali e due medaglie d’oro olimpiche, oltre a svariati titoli continentali. Nel 2010 ha chiuso il Mondiale sudafricano al quarto posto, risultato che non raggiungeva da quarant’anni. Nel 2011 ha vinto la Coppa America, sedici anni dopo l'ultimo successo.
Indipendente dai risultati l'attaccamento e il sostegno sono stati una costante per i poco più di 3 milioni di abitanti del paese. In Uruguay anche gli italiani come gli spagnoli e le tante altre nazionalità presenti tifano per la squadra locale, non in contrapposizione con il paese di provenienza ma quasi in continuità con esso. Trattandosi di una piccola nazione, che riconosce lo ius soli, che non nega diritti ai residenti stranieri e che forma gli studenti a non riconoscere "altre differenze che quelle derivanti dalle attitudini e virtù", integrazione e senso di appartenenza si sviluppano molto velocemente.
Molto spesso nelle competizioni internazionali l’Uruguay è tra i partecipanti il paese con minor popolazione ma è in assoluto la rappresentativa nazionale con più titoli in bacheca, potendone vantare ben 20.  Oltre le 15 Coppe America, le due Coppe mondiali (1930 e 1950) e il mundialito (1980) ci sono le due medaglie d’oro alle Olimpiadi de1924 e 1928, le uniche considerate dalla FIFA come Campionati mondiali di calcio e che consentono alla "celeste" di esibire sulla propria divisa e sul logo della Federazione ben 4 stelle.
La "potenza" calcistica del "Davide" Uruguay che a volte batte i "Golia", ovvero paesi che oltre a essere potenze economiche, industriali e militari rappresentano stati 20, 30, 50 volte più grandi in termini di popolazione e/o in superficie, genera simpatie anche oltre confine. Per sognatori, antagonisti e resistenti che si battono contro ogni potere precostituito di questo mondo il miracolo uruguaiano rappresenta in qualche modo la materializzazione della speranza, la prova che tutto è possibile.
Oltre che alla proverbiale tenacia dei giocatori uruguaiani, nel Mondiale del 2018 in Russia tutta l'attenzione e ammirazione si è concentrata sul commissario tecnico Óscar Washington Tabárez, affetto dalla sindrome di Guillain-Barrè, una patologia che l'ha debilitato nei movimenti e che da tempo lo costringe a muoversi con carrozzina elettrica e stampelle, cosa che non gli ha impedito di continuare con dedizione a svolgere il suo lavoro.  
A supportare la simpatia internazionale per l'Uruguay si è aggiunta la canzone non ufficiale Cielo de un solo color che si trasmette negli stadi del Mondiale russo prima e dopo di ogni partita e che è stata scelta proprio dai giocatori della celeste. Il successo del brano della rock band uruguaiana “No Te Va a Gustar”, diffuso durante le dirette televisive di tutto il mondo, ha destato l'interesse dell'autorevole testata statunitense “Billboard” che la considera come la migliore canzone del Mondiale: "Con un tocco di tango e ritmi afro-uruguaiani, Cielo de un solo color è una canzone di calcio perfetta per un paese noto per i suoi poeti".

di Mario Occhinero

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