Lode a Lodetti
Giovanni Lodetti viene da
un paesino di cinquecento anime, Caselle Lurani, a due passi da
Milano. È giovane e sogna San Siro, ma il suo campo è quello
dell'oratorio, il suo allenatore il prete del paese. È il 1960 e lo
scudetto è un affare tra Inter e Milan. Giovanni è un mediano di
sostanza, classe 1942, che corre dietro al suo sogno. Il
sacerdote-trainer gli rimedia un provino per il Milan e ce lo
accompagna in corriera. Lo prendono, incredibilmente. Viene aggregato
alla prima squadra dove esordisce l'anno dopo, stagione 1961-62. Il
Milan è uno squadrone: Giorgio Ghezzi in porta, poi Radice,
Trapattoni, Altafini e il genio di Gianni Rivera: lo scudetto
quell'anno è rossonero. Giovanni gioca una sola partita, ma nel
1962-63 le presenze salgono a dieci e arriva la Coppa dei campioni
vinta in finale contro il Benfica di Eusebio. In quegli anni Lodetti
non è un protagonista assoluto, ma continua a lottare, impegnandosi
giorno dopo giorno per crescere e arrivare a essere insostituibile.
In panchina c'è Nereo Rocco, un allenatore burbero e vincente, di
cui si ricordano le massime pronunciate con accento triestino come
quando raccomandava ai suoi “colpite tutto quello che passa e, se
capita, anche la palla”. Era un pragmatico, aveva sempre lottato
per andare oltre l'ossessione degli schemi fini. Per lui erano nulla
se non portavano al risultato. Una volta rispose a un giornalista che
gli chiedeva come avrebbe giocato il Milan l'indomani: “Cudicini in
porta e tutti gli altri fuori”. Fu ingiustamente bollato come un
difensivista. Ex giocatore, amante della tavola e del buon vino, dopo
il ritiro dal calcio giocato, assumerà le dimensioni di un gigante.
Memorabile una sua intervista a tavola con Gianni Brera, i due
filosofeggiano dottamente sul calcio davanti a diverse bottiglie
vuote e in compagnia di un giovane e divertito Gianni Minà...
Dal 1964 in poi Lodetti
diviene titolare inamovibile. Generoso e volitivo, fa salire la
squadra e corre anche per gli altri. Lo chiamano “i polmoni di
Rivera” che, libero dalla fatica, può mostrare tutta la sua
tecnica: dribbling, finte, assist e gol. Alla fine di ogni partita
Lodetti è sudato ed esausto mentre Rivera, dicono i maligni, sembra
appena uscito dal parrucchiere. In attacco ora ci sono anche Hamrin e
Prati, la squadra gira come un orologio e nel 1967 arrivano scudetto
e Coppa delle coppe. E per Lodetti anche il successo con la
nazionale: vittoria all'Europeo del 1968, dopo un percorso
avventuroso con una semifinale superata per sorteggio dopo 120 minuti
di Italia-Urss finiti 0-0 e una finale con la Jugoslavia vinta 2-0
nella ripetizione del match (dopo che la prima partita si era
conclusa 1-1 ai supplementari). La stagione 1968-69 è quella della
seconda Coppa dei campioni e stavolta Giovanni è nell'undici
titolare. In semifinale contro il Manchester è lui a marcare Bobby
Charlton. Di quella partita gli torna in mente l'infortunio di Rivera
nei primi minuti di gara: San Siro ammutolisce e il Milan si trova a
giocare in un silenzio di tomba. Ci sono tutti i presupposti per
crollare di fronte a quello squadrone che in attacco ha un certo
George Best. “A quel punto ci guardiamo negli occhi, decidiamo di
stare uniti, la vittoria va portata a casa”. Arriva il 2-0 che,
nonostante la sconfitta subita per 1-0 nella gara di ritorno
garantisce l'accesso alla finale contro l'Ayax: è un trionfo per 4-1
firmato tre volte da Prati e una da Sormani. Il 1969 è l'anno della
Coppa intercontinentale vinta contro gli argentini dell'Estudiantes.
L'ex ragazzo dell'oratorio viene convocato ai mondiali del 1970 e non
sta nella pelle, è la consacrazione. In Messico però accade
l'imprevedibile durante il ritiro che precede l'inizio del torneo:
Anastasi si infortuna e per sostituirlo vengono convocati Boninsegna
e Prati, quest'ultimo con la caviglia infortunata che di fatto gli
impedisce di giocare. A questo punto l'Italia conta 23 giocatori: c'è
n'è uno di troppo perché il numero massimo è 22. Lodetti è
tranquillo, sa di essere fondamentale con la sua corsa ed è uno dei
migliori nei test di resistenza all'altura. Un giorno lo chiamano e
gli danno la notizia: l'escluso è proprio lui. In cambio gli dicono
però che potrà restare a seguire il Mondiale, invitando anche la
moglie per una vacanza a spese della federazione e gli promettono
anche che prenderà lo stesso premio degli altri. Giovanni risponde
che fanno schifo e prende il primo aereo per Milano. Dopo aver visto
il mondiale in tv, facile immaginare con quale stato d'animo se ne
vada al mare con la famiglia. Poi succede che in quei giorni riceve
una telefonata: il Milan lo ha ceduto alla Sampdoria! E per la
seconda volta il mondo gli crolla addosso. Ma lui non molla. Va a
Genova, dove gli danno subito la fascia da capitano e dove si fa
apprezzare per capacità e impegno tanto che riceve dai tifosi il
premio come miglior doriano della stagione. Dal Milan più nulla.
Nessun contatto. Quei compagni con cui aveva condiviso mille
battaglie, con alcuni di loro un'amicizia, sono tutti spariti. Resta
quattro anni alla Sampdoria, poi tre al Foggia e due al Novara. Si
ritira nel 1978, fa il corso da allenatore di terza categoria, lo
supera col massimo dei voti e, quando Rivera diventa presidente del
Milan, lo chiama per proporsi come tecnico delle giovanili. Rivera
risponde che al momento non cercano nessuno, poi sparisce anche lui e
pochi mesi dopo Lodetti viene a sapere che ha dato il posto a Paolo
Ferrario, un ex centravanti rossonero. Giovanni non si perde d'animo
e, visto che all'epoca un giocatore come lui non guadagnava in
carriera tanto da arricchirsi, trova lavoro nella ditta di un amico
che vende ceramiche. Del calcio non vuol sapere più nulla. Lui che
aveva vinto scudetti e coppe ora, con lo stesso impegno, convince i
negozianti ad acquistare piastrelle. Il parco di Trenno è uno dei
più grandi di Milano e Lodetti ci va a correre per tenersi in forma.
1982, ha quarant'anni e non tocca un pallone da tanti anni, troppi.
Durante la corsetta vede una partita tra ragazzi, è più forte di
lui, chiede se può entrare. Loro sorridono e lo scoraggiano: “ma
non vedi che siamo tutti giovani?” Lui insiste per entrare nella
squadra che in quel momento sta perdendo 4-1 e d è in dieci. I
ragazzi si arrendono, lui invece in campo si fa valere, corre, marca,
segna: finisce 4-4. Giovanni addosso ha una felpa del lavoro con
scritto “Ceramica”, uno dei giovani gli si avvicina e gli fa
“Ceramica, lo sai che non sei male?” Giovanni sorride e da quel
giorno tutti lo chiamano così. Si ripresenta puntuale alle 9.30 ogni
sabato mattina. Non vuole vantarsi, parlare del suo passato e resta
“Ceramica” per due anni finché al parco di Trenno non arriva un
vecchietto in bici che lo vede e fa ai ragazzi: “Ma lo sapete chi è
quello? Giocava al Milan, una volta l'ho visto annullare Bobby
Charlton”. Il mistero è svelato e Lodetti ha uno shock, è la
prima volta dopo tanti anni che viene riconosciuto per quello che
era, un calciatore. Quel momento l'aiuta a superare vecchie ferite, a
riavvicinarsi a quel mondo con cui riannoda un filo. Diventa così
commentatore per una tv privata, attività che svolge ancora oggi.
Intanto le partite continuano per anni, ogni sabato. L'età avanza e
Giovanni, per non far preoccupare la moglie, le dice che va a giocare
a tennis. Un giorno cade e si incrina quattro costole. È in quel
momento che capisce “che non sta giocando a tennis”. Le partite
del sabato mattina proseguono fino al 2007, l'anno del ritiro, quello
vero, dal calcio giocato di Giovanni Lodetti. Lì, al parco di
Trenno. (Federico Gallo)
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