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Dio è morto

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La notizia arriva all'improvviso, un colpo a tradimento. Stanno per scoccare le diciotto (ora italiana) del 25 novembre 2020: stavolta non c'è niente da fare. Non è una delle sue tante crisi, dalle quali, non si sa come, era sempre uscito vivo: il bell'anatroccolo è immobile, il suo cuore che aveva sopportato infinite gioie e altrettanti dolori, si è fermato per sempre. Diego è stato innalzato, ma anche schiacciato da quella perfezione, di calcio e d'estro, che aveva fin da bambino. Quante volte ho letto sul suo volto l'insofferenza per l'assedio di una folla che lui amava (e che l'amava) profondamente, ma in quanto folla, sia pur involontariamente, lo soffocava. Come restare all'altezza di ciò che era stato? Impossibile, specie per lui che non si era arreso e aveva sempre continuato a palleggiare, per tutta la sua esistenza, una giostra impazzita da cui non era mai sceso, anche se aveva rischiato mille volte d'esser disarcionato. Ormai la vita, per

La valle del riscatto afro. Intervista a Edison Mendez

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Edison Mendez è un ex calciatore ecuadoriano. Ha giocato per la nazionale dell’Ecuador dal 2000 al 2014, partecipando ai mondiali del 2002, 2006 e 2014.  In patria, Mendez è considerato una leggenda del calcio. Ha segnato il goal che ha permesso la prima vittoria della nazionale ecuadoriana in un mondiale, contro la Croazia nel 2002. Con la maglia della Liga di Quito ha vinto un campionato ecuadoriano e una Coppa Sudamericana, equivalente dell’Europa League. È stato campione in America latina, ma anche in Europa, dove ha giocato per tre anni nel PSV di Eindhoven, vincendo due volte il campionato olandese e una Super Coppa d’Olanda. Sempre con il PSV, ha raggiunto un altro traguardo, più personale, essendo il primo calciatore ecuadoriano ad aver segnato un goal i n Champions League. Mendez è nato e cresciuto nella valle del Chota, nella sierra andina, al confine con la Colombia, una zona che presenta peculiari condizioni ambientali e sociali. Questa valle, infatti, è cara

Dalla Russia con stupore

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E così il Mondiale è volato via. Veloce. Emozioni, sorprese, polemiche si sono susseguite senza sosta e alla fine ha vinto la Francia, la squadra più solida, cinica e a tratti anche fortunata. Basti pensare al “paperone” di Muslera che ha tagliato definitivamente le gambe all’Uruguay spalancando ai transalpini le porte della semifinale e all’atto conclusivo: finale vinta per 4-2 sulla Croazia con un autogol e un rigore tutt’altro che indiscutibile. In ogni caso la vincitrice ha messo in luce un gioco concreto e grandi individualità come Lloris, Varane, Griezmann e Mbappè, quest’ultimo a volte un po’ sopravvalutato: un ottimo giocatore certo, ma evitiamo di scomodare paragoni impropri come quello con Cristiano Ronaldo, nel frattempo acquistato dalla Juve per poter alzare la coppa dalle grandi orecchie. Il portoghese, dopo un europeo meraviglioso e un folgorante avvio della campagna russa, si è eclissato proprio nel match decisivo contro l’Uruguay in cui una certa inconsistenza d

Uruguay, la prova che tutto è possibile

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Sabato 30 giugno alle 20.00 ora italiana il primo ottavo di finale vedrà di fronte l'Uruguay due volte campione del mondo e il Portogallo di Cristiano Ronaldo. Ospitiamo un intervento di Mario Occhinero, amministratore del gruppo facebook Italiani per la Celeste. "Ogni volta che la squadra gioca, non importa chi sia la rivale, il paese trattiene il respiro, politici, cantanti e venditori ambulanti si zittiscono, gli amanti interrompono le carezze, e le mosche smettono di volare." Con queste parole lo scrittore Eduardo Galeano descriveva il sentimento nei confronti della Selección dell'Uruguay, la gloriosa "celeste" dal tradizionale colore della maglia. La garra charrúa , in riferimento alla grinta dei giocatori, è il simbolo del calcio uruguaiano, un piccolo paese con un gran palmarès che ha costruito la propria identità a partire dai trionfi calcistici. I migliori risultati li ha ottenuti tra gli anni venti e gli anni cinquanta del XX secolo

Messi, Musa e il Mondiale delle sorprese

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E così eccoci davanti alla tv a vedere questo Mondiale senza l’Italia. Erano sessant’anni che non succedeva come ha raccontato l’antropologo Bruno Barba nel suo libro 1958, l’altra volta che non andammo ai mondiali , saggio illuminante che narra un’Italia in fase di trasformazione e un altro calcio che vide le gesta immortali di Garrincha. Cambia il nostro sguardo sulla competizione: se normalmente gira tutto intorno agli azzurri e, salvo alcune partite tra grandi, tutto sembra essere di contorno, per la prima volta viene spontaneo considerare il torneo nel suo complesso. Magari alla ricerca di una squadra per cui tifare, se già non ne abbiamo scelta una. Siamo alle battute conclusive della fase a gironi e le sorprese non sono mancate. In positivo, un plauso ad alcune “piccole” come Iran, Nigeria e Senegal che hanno mostrato gioco e ottime individualità, in negativo con le grandi che stentano a essere all’altezza della propria storia. La Germania, dopo la clamorosa sconfitta co

"Tutti i giocatori dovrebbero denunciare le ingiustizie del pianeta". Seconda parte dell'intervista a Pablo Llonto.

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Continua l'intervista a Llonto e ci soffermiamo su quella beffarda partita con il Perù, il Perù sconfitto per 6-0 dall’Argentina – che così conquistò la finale –, avrebbe potuto cambiare l’esito del campionato? “Lo credo molto improbabile: la squadra peruviana era di molto inferiore all’Argentina, era già matematicamente eliminata e i giocatori erano in lite tra di loro.” Però su quella partita molti hanno gettato ombre e dubbi. Recentemente José Vel á zquez ha fatto il nome del portiere “argentino”, nazionalizzato dal Perù, Ram ó n Quiroga, che avrebbe favorito la squadra albiceleste… “Non esistono prove che permettano di affermare che la nazionale peruviana vendette la partita. Ci sono solamente degli indizi, molto leggeri, e ogni volta che un giocatore di quel Perù parla di partita venduta dopo poco rettifica la sua dichiarazione e nega le ‘rivelazioni’ fatte.” Henry Kissinger, segretario di stato statunitense, era sulle tribune accanto a Videla e fu presente

Intervista esclusiva a Pablo Llonto - Prima parte

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Intervista esclusiva di Gianni Tarquini e Federico Gallo a Pablo Llonto, autore dell’importante volume La vergüenza de todos , tradotto in Italia con il titolo di I Mondiali della vergogna (Alegre, 2010). S iamo alla vigilia dei mondiali del 2018, i ventunesimi della storia. Tu sei l’autore del testo fondamentale La vergüenza de todos  (La vergogna di tutti) sull’edizione del 1978 nel tuo paese, in Argentina. Perché nel tuo titolo parli della vergogna di tutti? Cosa intendi? Non si salvò nessuno? “ Si intitola ‘La vergüenza de todos’ perché tutti e tutte avemmo una parte di responsabilità in quello che accadde. Naturalmente le colpe maggiori ricadono sugli autori diretti dei fatti e sui loro complici, però non si può negare – così come non possiamo farlo con il popolo tedesco durante il nazismo – che come cittadini comuni non avemmo lo spirito democratico necessario per difendere la Costituzione e per comprendere che nessun cattivo governo giustifica l’arrivo al potere dei