Dalla Russia con stupore



E così il Mondiale è volato via. Veloce. Emozioni, sorprese, polemiche si sono susseguite senza sosta e alla fine ha vinto la Francia, la squadra più solida, cinica e a tratti anche fortunata. Basti pensare al “paperone” di Muslera che ha tagliato definitivamente le gambe all’Uruguay spalancando ai transalpini le porte della semifinale e all’atto conclusivo: finale vinta per 4-2 sulla Croazia con un autogol e un rigore tutt’altro che indiscutibile. In ogni caso la vincitrice ha messo in luce un gioco concreto e grandi individualità come Lloris, Varane, Griezmann e Mbappè, quest’ultimo a volte un po’ sopravvalutato: un ottimo giocatore certo, ma evitiamo di scomodare paragoni impropri come quello con Cristiano Ronaldo, nel frattempo acquistato dalla Juve per poter alzare la coppa dalle grandi orecchie.
Il portoghese, dopo un europeo meraviglioso e un folgorante avvio della campagna russa, si è eclissato proprio nel match decisivo contro l’Uruguay in cui una certa inconsistenza di squadra si è unita all’assenza di un qualche suo, doveroso, acuto.
Un Mondiale che ha regalato molti brividi: tante le partite decise ai supplementari, molte altre ai rigori. È stata anche la prima volta del Var e il suo bilancio è sostanzialmente positivo.
E tra gol, coreografie, sorprese e insperate rimonte (altissima la percentuale degli incontri decisi negli ultimi minuti e in quelli di recupero), tante storie come quella di Mikel John Obi, capitano della Nigeria, che ha appreso la terribile notizia del sequestro di suo padre poche ore prima dello scontro decisivo con l’Argentina. Non solo, è stato lui a dover chiamare i rapitori che gli hanno ordinato di pagare il riscatto e non parlarne con nessuno altrimenti avrebbero ucciso il prigioniero.
E cosa fa Obi? Decide che non può deludere 180 milioni di nigeriani, stringe i denti e scende lo stesso in campo anche per non sconvolgere allenatore e compagni con la sua rivelazione.
Pochi giorni dopo arriva la notizia della liberazione del padre di Mikel costretto però al ricovero per via delle torture subite durante il sequestro. Un grande esempio di sportività viene dai giocatori del Giappone che subito dopo aver perso l’ottavo di finale col Belgio autore di un’incredibile rimonta da 0-2 a 3-2 completata negli ultimi minuti, anziché lasciarsi andare a scene di rabbia isterica, ripuliscono alla perfezione il loro spogliatoio lasciando un cartello con scritto “grazie” in russo.
Altro personaggio da ricordare è Cherchesov, l’allenatore dei padroni di casa, che abbiamo visto chiamare con grandi gesti delle mani il sostegno del pubblico come fosse un tifoso della curva: un uomo di polso, ex portiere che detiene il curioso record di aver indossato la maglia di tre nazionali diverse, prima quella dell'Urss, poi quella degli Stati indipendenti, infine quella della Russia. In ogni caso gli va dato atto di essere riuscito a portare i suoi molto avanti, riuscendo a costruire una squadra compatta ed estremamente competitiva.
E poi come dimenticare il maestro Tabárez, allenatore dell’Uruguay, che maestro di bambini lo era stato di professione. In un mondo come quello sportivo, dominato dalle tv, dove sembra necessario che il corpo appaia sempre perfetto, ha portato nelle case di tutto il mondo il suo corpo sbilenco e la sua fatica nel camminare ma allo stesso tempo il chiaro esempio di un condottiero umano, autorevole e forte allo stesso tempo. Ha rappresentato l’antitesi del “cugino” argentino Sampaoli, con quella sua immagine da chi vuole apparire ancora “giovane e forte”. E il mondo ha scelto, senza tentennamenti, tra i due.
La speranza per il futuro è quella di vedere il ritorno delle grandi che hanno deluso, lo stesso vale per quei protagonisti come Messi che hanno steccato il Mondiale per l’ennesima volta e chissà se riuscirà a esserci anche Cristiano Ronaldo la prossima volta, quando avrà ben trentasette primavere sulle spalle. Altra speranza è che la fisicità, sempre più importante anche nel calcio, finisca per essere minimizzata dall’estro, il genio l’astuzia e il coraggio di osare… Qualcosa abbiamo visto e, anche in questo caso, le simpatie e le emozioni si sono schierate: Griezmann, Hazard, Modric, Perisic, Yerry Mina, Diego Godin; le imprese sfiorate di Senegal, Giappone e Colombia.
Un dato da sottolineare infine è quello del meraviglioso melting pot che ha caratterizzato quasi tutte le nazionali in campo, in ognuna giocatori di origine diversa, alcuni naturalizzati, altri ormai “di seconda generazione”: in un momento storico come questo il calcio può esser di lezione a chi governa i destini delle nazioni. Nella speranza che il messaggio dell’accoglienza e del multiculturalismo non sia lanciato dai potenti solo quando si tratta di ospitare grandi campioni ma anche, e soprattutto, diventi politica concreta per tutte le donne e gli uomini che premono alle nostre frontiere con la loro disperata richiesta d’aiuto. 

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