Bruno Vinicio: "Io Garrincha lo vedevo dalla porta."
Bruno Vinicio, settantacinque
anni portati splendidamente, ha allenato fino all’anno scorso molte squadre
romane, una vita passata a insegnare calcio ai giovani. Prima giocava in porta
ed era tra i pali del Sacrofano quando da quelle parti arrivò Mané Garrincha.
Che ricordi hai di Manè?
“Fortissimo, con la palla era un
mostro. Sempre la stessa finta e mai uno che riuscisse a fermarlo: restavano
tutti sul posto, storditi. Applicava alla perfezione – mai visto uno che lo
facesse meglio – il principio che insegniamo alla scuola calcio: perché la
finta funzioni bisogna eseguire l’intenzione originaria subito dopo aver fatto
il movimento che inganna l’avversario. Lui era un fulmine. Ci sembrava
incredibile giocare con lui. Gli appassionati impazzivano: ogni volta che
giocavamo un’amichevole e i manifesti annunciavano la sua presenza, quei
piccoli stadi scoppiavano, c’era gente assiepata ovunque.”
“Si percepiva un velo di malinconia, uno che era stato sul tetto del mondo e
ormai era sul viale del tramonto. In campo e in allenamento era sempre
inappuntabile, ma fuori si stava perdendo. Spesso portava con sé i figli, erano
degli ossessi e giocavano sempre a piedi nudi. Comunque con noi era sempre squisito.
Poteva giocare solo le amichevoli, ma una volta, pur non potendo scendere in
campo, ci tenne ad accompagnarci a San Severino Marche in una partita di della Coppa
Italia di categoria. Un grande che era rimasto semplice, umile e si divertiva
con noi anche in allenamento.”
Con voi c’era anche un altro
campione: Dino Da Costa…
“All’inizio era giocatore, poi
anche allenatore. Un attaccante fortissimo, precisione e potenza insieme.
Quando arrivai mi disse di restare a fine allenamento e iniziò a tirarmi in
porta dei siluri. Erano talmente forti che avevo paura, ma se volevo restare
dovevo fare il mio meglio e così uscii dal campo con entrambi i polsi slogati.
Una volta contro il Banco Roma eravamo sotto 2-0, era già allenatore. Si leva
la tuta, entra in campo, tira tre missili terra-aria e vinciamo 3-2,
incredibile!”
Quel Sacrofano era una creatura
del Presidente Michele Di Piero.
“Era come un padre, una persona
splendida, appassionato, generoso, amava il calcio e la vita. Prendendo il
Sacrofano aveva realizzato il sogno di avere una squadra tutta sua. Pensava in
grande: Da Costa, Garrincha e con noi era sempre riconoscente. Un anno per
festeggiare la nostra ennesima promozione alla categoria superiore, ci ripagò
una seconda volta i premi che ci aveva riconosciuto durante il campionato. Una
volta mi disse che dopo aver pensato alla famiglia, i soldi li avrebbe spesi
volentieri tutti col Sacrofano.”
Hai passato una vita a insegnare
calcio, come vedi oggi il mondo delle giovanili?
“In quell’ambito ho interpretato
ogni ruolo: calciatore, allenatore, dirigente. Resta il centro nevralgico di
tutto il sistema. Se non funziona, crolla tutto. È più importante il tecnico
che allena i bambini che quello di serie A, perché se il primo lavora bene crea
i campioni e il secondo va sul velluto. Invece c’è troppa approssimazione,
spesso è un ruolo che viene sottovalutato e magari attribuito per simpatia o
parentela. Una follia.”
Cosa direbbe a un giovane
calciatore?
“Io tra giovani e dilettanti ho
passato una vita, prima in campo, poi in panchina. Sacrofano, Tivoli, Urbe
Tevere, Colli Aniene, Vigor Perconti, Tor Sapienza. Quello che conta è la
voglia, la ‘fame’ di emergere. Oggi i giovani hanno mille distrazioni e molto
meno slancio. Me ne ricordo uno che quando non veniva ad allenarsi mi diceva ‘mister,
a casa non c’era nessuno che poteva accompagnarmi’. Quando ero ragazzo io per
andare a giocare mi alzavo alle sei e prendevo tre autobus, un viaggio. Sono
sempre la passione e l’impegno a fare la differenza. Mi ricordo di due giocatori
che avevo seguito da giovani: Marco Nappi e Lorenzo Marronaro. Entrambi forti,
ma Lorenzo per tecnica era mostruoso. Beh, il primo grazie alla volontà di
ferro ha avuto una carriera molto più lunga del secondo.”
Com’è cambiato il mondo del
calcio?
“Tanto e in peggio. Anche nelle
categorie inferiori, troppi interessi. Io sono sempre stato un allenatore ‘tosto’
e tenevo molto alla preparazione fisica dei miei, gli facevo fare le scalinate
prima di Zeman, cinquanta volte avanti e indietro, e se si lamentavano gli
dicevo che alla squadra precedente ne facevano il doppio. Oggi è tutto
eccessivo. A tredici anni hanno già il procuratore, molti genitori sono
disposti a tutto pur di far giocare titolare il figlio. Capite, il valore non è
che imparino, crescano, ma che abbiano subito successo. Che senso ha?”
Russia 2018, come vedi i prossimi
Mondiali?
“Peccato per l’Italia, il nostro
sistema-calcio andrebbe rifondato, a partire dalle giovanili. Per il resto di
grandi squadre ce ne sono diverse, ma due hanno qualcosa in più: per me la
finale sarà Spagna-Brasile.”
Cos’è il calcio per te?
“Il calcio per me è stato tutto,
ho smesso solo pochi mesi fa e, oltre a essere stato la mia passione più
grande, mi ha aiutato anche in momenti difficili, che nella vita capitano a
tutti. Quando sei costretto ad accettare il distacco delle persone che ti sono
più care hai bisogno di qualcosa che ti aiuti ad andare avanti. È stato grazie
al calcio che non ho mai smesso di amare la vita.”
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